Il mercato del pesce ed il social commerce

Il mercato del pesce, almeno dalle nostre parti, tempo (ma tempo) addietro,  si svolgeva in due modi possibili:

  • attraverso la cosiddetta asta all’orecchio: il prezzo veniva comunicato, vista la partita di pesce,  all’orecchio dell’astatore che alla fine chiamava colui il quale aveva fatto il prezzo più alto per permettere di comunicarlo a tutti;
  • attraverso la vendita all’asta pura: ognuno offriva il suo prezzo che viene superato dalle offerte maggiori che mano mano si susseguono.

Il tutto avveniva, avviene ancora in alcuni paesi, nel luogo dove era fissato il “mercato”: o sul molo al momento dell’attracco delle barche, oppure, in tempi moderni,  in un luogo definito, coperto e con strutture adeguate. 

Certamente la vendita del pesce era il core, ma c’era anche una dinamica tra persone che deve essere considerata dopo che conosciuta. Una dinamica che va oltre la tradizione,  che rappresenta il potere, il rispetto, il territorio.  Era una vendita molto esperenziale, occorreva conoscere le regole, seguirle e rispettare anche quelle non scritte. Il ruolo dell’astatore era fondamentale, non solo applicava le regole,  ma aveva il compito di “custode del mercato“. Era l’interfaccia necessaria al mercato. Ma era anche quella parte che poteva rompere le dinamiche quando faceva prevaricare certe regole non scritte sulle altre. Quando abusava del suo ruolo, quando voleva condizionare l’andamento del mercato. Avveniva [avviene ?]

Più passa il tempo e più mi rendo conto che certe analisi che oggi sono Italy Trends (come li definisce Twitter) e ci riferiamo al Social Commerce,  non fanno altro che confermare che molte cose già erano presenti nel commercio secondo antiche tradizioni, quello di mia nonna per intenderci, quando il Cluetrain Manifesto lo si conosceva benissimo.

Ho trovato ispirazione nello scrivere dal post di @Gluca di minimarketing

Foto| La vucciria di Renato Guttuso

Lascia un commento